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Irene Curtoni

Irene Curtoni, la voce della consapevolezza

Irene Curtoni è oggi ex campionessa, giovane donna all’avvio della sua nuova carriera professionale e futura mamma. Una voce forte, curiosa e coraggiosa la sua.

Irene, di fatto sei diventata la voce dello sci rosa per la Tv Svizzera italiana e ogni tanto ti troviamo con il ruolo di “incursore” nei parterre di gara per Eurosport, come accaduto alle Olimpiadi di Pechino. A proposito, hai affermato: “In un certo senso gli slalom li ho sempre davanti agli occhi con la ‘leggera’ differenza che ora racconto come li affrontano le altre”.
Che dici, sarà la tua nuova professione? La consideri come un’evoluzione naturale o hai fatto molta fatica a cambiare ruolo?

Come sarà la mia nuova professione? È un bel punto di domanda, perché quando smetti di fare l’atleta esplori un po’ tutto quello che c’è attorno a te. Già da Irene Curtoni atleta mi vedevo orientata in un ambiente del genere! Ho la parlantina, non mi dispiaceva provare. In più ascoltando le gare ho sempre fatto osservazioni ai commentatori, ma prima di criticare bisogna provare a fare meglio.
Questo mi ha portato a provare questa esperienza l’anno scorso, è andata molto bene. Sono partita da zero, non avevo mai commentato una gara, avevo già fatto solo ospitate e commenti post gara. Ho fatto una prova in estate, è andata bene, anche l’inverno è andato liscio. Mano a mano che andavo avanti riuscivo a migliorarmi.

Quella delle Olimpiadi è stata un’esperienza completamente diversa: con la televisione svizzera e italiana commento, lì invece ho fatto l’intervistatrice al parterre. Ero da sola, si sono affidati a me. Causa Covid hanno ridotto da sei persone in team a una, che ero io. Ho imparato lì sul campo, su un palcoscenico molto importante. Di fatto non ho paura delle sfide, le affronto volentieri, l’unica cosa è che vorrei sempre e comunque rendere bene.

Quando sei stata costretta a saltare Sochi, Giovanni Bruno ti chiamò come ospite in studio a Sky per gli approfondimenti tecnici. Come è stato imparare da un “mentore” direttamente sul campo? Quanto conta secondo te avere un punto di riferimento forte per un ex atleta che deve riqualificare la sua posizione professionale?

Direi che è fondamentale avere una persona o più persone che ti indirizzano, a cui fare riferimento. Per tutta la prima parte della nostra vita noi atleti facciamo una cosa sola, focalizzati su QUELL’obiettivo che per me era essere più veloce possibile nel minuto di gara dal cancelletto al traguardo.
Giovanni in primis mi ha sempre consigliato di provare, di incamminarmi verso questa strada. Certo, capendo se mi potesse piacere o meno. Lo ritengo preparato al 100%, è un narratore incredibile e un mentore spettacolare. Mi dice sempre di buttarmi, provare, ma al contempo di prepararmi per poter poi affrontare al meglio il mondo del lavoro. Oltre a lui ho avuto la fortuna di avere anche altri riferimenti che mi hanno consigliata.

Avevo ancora – e probabilmente ho ancora – la testa tanto da atleta ma me la tengo volentieri, devo essere sincera. A causa del mio infortunio non ho potuto partecipare alle Olimpiadi e bruciava molto, dovevo esserci io, ma lavorarci mi ha dato la possibilità di cambiare prospettiva, di vedere che la carriera da atleta effettivamente ha una data di scadenza.

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A tuo parere, quali sono i rischi più grossi per un ex professionista? Situazioni ricorrenti, sensazioni, paure, magari che hai anche vissuto in prima persona?

Ad un certo punto ti ritrovi saturo. Non sei mai saturo al 100% della carriera da atleta, ma comunque arrivi ad esserlo. Io sono stata molto fortunata perché ho potuto scegliere di smettere, e scegliere è già una grandissima cosa. Comunque però nella strada per arrivare ad un livello alto hai sacrificato altro, magari la tua preparazione, per cui vivi una grande incertezza.
C’è chi ha delle attività di famiglia e in qualche modo ci rientra, ma non era il mio caso. Mi sono sempre detta però che se sei un po’ sveglio e ti applichi in questo mondo ce la puoi fare. Devi avere però sempre e comunque la voglia di metterti in gioco.

Personalmente ancora adesso ho dei dubbi, ho smesso un anno fa e mi sono catapultata nel “mondo reale”. È andata bene, sono molto contenta e ho ottenuto anche dei feedback positivi però ho comunque voglia di migliorare e farlo diventare un lavoro a tutti gli effetti, non una cosa momentanea. Non sono giovane per fare l’atleta ma lo sono per una vita vera!

Chiaramente ad un certo punto sai che il tuo percorso sta per finire e pensi che hai sempre sciato, un palo rosso e un palo blu, quindi ti fai delle domande. Nel pieno della carriera però è difficile dire “cavolo, tra tre anni smetto, cosa faccio”… Non ci vuoi nemmeno pensare, a volte neanche davanti ad un infortunio. Poi dipende anche da quanti anni hai, io ho smesso a 36 quindi è diverso che farlo a 20 o 25.

Arrivo inoltre da una generazione in cui tanti miei colleghi magari non finivano neanche le superiori per sciare o per fare sport. Adesso si sta andando verso un connubio più semplice tra scuola e sport, prima era abbastanza impossibile. Io ho dovuto cambiare liceo non perché avessi brutti voti, ma perché mi toglievano il banco ogni volta che tornavo e dovevo confermare di non essermi ritirata! Oggi ci sono più possibilità per conciliare le cose.

Una volta finito il liceo io mi sono iscritta subito all’Università; non ho proseguito, ma si trattava di comunicazione, media e giornalismo, mi è sempre piaciuto l’ambito e ho sempre scritto. Si tratta di darsi delle possibilità.
Prima veniva lo sport, era un treno che passava una volta sola, per l’Università c’era sempre tempo per tornarci. Fare lo sportivo ad alto livello, ai massimi livelli, non è una cosa che tutti possono fare. È comunque una scelta, e come tutte le scelte comporta dei sacrifici.

Quali sono, a tuo parere, le doti – i plus che un ex professionista in ambito sportivo ha per forza coltivato e che possono essere recuperate in un contesto professionale post-carriera?

Sicuramente il fatto che non ti fai spaventare, hai un obiettivo, tanta forza di volontà e vai dritto per la tua strada. A volte ti butti, magari con un po’ di incoscienza e con il morale alto. Un esempio: il commento in Cina è stato tosto perché dovevo farlo in più lingue. Non coprivo solo l’Italia ma anche altre nazioni. Un “One man show” per il quale però non avevo un’esperienza consolidata!

Certo dipende anche dall’indole, ma lo sport aiuta. L’atleta riesce ad adattarsi subito, è competitivo e focalizzato.

Pensi che ti formerai anche con un percorso ad hoc molto settoriale come un Master di Giornalismo Sportivo? O ti piacerebbe anche un corso sul mondo aziendale più in generale, per tenerti aperte più porte?

Del Master in Giornalismo Sportivo ne ho parlato proprio a inizio estate con Giovanni Bruno e con il mio capo di Eurosport, ma l’idea è che il mio curriculum da atleta e quello che ho fatto quest’anno mi hanno già dato abbastanza. Quel tipo di corso forse mi darebbe poco oltre al titolo.
Avrei invece voglia di esplorare altro, in ambito marketing o management. Intorno allo sport c’è davvero tanto, ci si può reinventare in molte maniere, basta saperle vedere.

In famiglia, oltre a Irene Curtoni un’altra sciatrice di altissimo livello: tua sorella Elena. Come le consiglieresti di prepararsi a quel momento in cui anche lei dovrà affrontare il ritiro dalle piste?

Un momento non così lontano. Anche lei non è più una bambina ormai! Credo sarebbe utile completare il percorso di formazione tecnica approfittando delle opportunità dedicate agli atleti.
Lei però già a 17 anni voleva smettere, ha fatto il liceo artistico, ha sempre dipinto. Voleva iscriversi all’Accademia di Brera, poi ha deciso di continuare a sciare. Ho la fortuna di avere una famiglia che ci ha trasmesso in modo radicato i valori dello sport. Lei ha sempre dimostrato grandi doti, sarebbe stato un peccato sprecarle. Oltre a questo non saprei bene cosa consigliarle, perché ognuno poi prende la strada che si sente più addosso. Sono sicura che si reinventerà, sarebbe bello anche trovare qualcosa da fare insieme!

Un anno e mezzo dopo il ritiro, poco tempo fa un nuovo annuncio importante: diventerai mamma, avrai un bimbo insieme al velocista Emanuele Buzzi. Inizia così un capitolo fondamentale: ex campionessa, giovane donna all’avvio della sua nuova carriera professionale e mamma. Come combinerai tutto?

Sinceramente ancora non ne ho la più pallida idea! 🙂 Si fa tutto però.

Per una donna a 36 anni c’è anche quello, se vuoi una famiglia ci sono tempistiche da rispettare. Io con i cambiamenti ci metto un attimo ad adattarmi ma in due anni ho compiuto tutti quelli che potessi fare. Il ragazzo è rimasto lo stesso, per fortuna! Oltretutto abbiamo “calcolato” male, nasce a inizio gennaio nel pieno della stagione invernale.
Lui sarà in giro per le gare, io sarei stata in giro per lavoro ma ho riadattato tutto a questo. Sono felicissima, l’abbiamo cercato e voluto anche se arriva in un momento particolarmente intenso. Concilierò tutto come fanno tutti, e non vedo l’ora.

Quali pensi che siano le attuali lacune sul panorama del mondo della formazione dedicata agli ex atleti?

Beh, fino ad oggi mi risulta ci fosse molto poco per preparare gli atleti ad un post-carriera mentre fanno ancora attività, c’è qualcosa per gli ormai ex. Nel momento in cui diventi ex atleta poi devi avere voglia di metterti di nuovo in pista, è fisiologico che si possa aver bisogno di un po’ di respiro.
L’intensità della vita cambia, anche il riposo viene gestito in maniera diversa. Prima eri sempre sul chi va là, quello che mangi, come dormi, quello che respiri è tutto incentrato su un’unica cosa. Per me è fondamentale il “prima”; gli atleti dovrebbero entrare nell’ottica che il mondo dello sport è cambiato. Un esempio, la parte social media, digital, che ci consente di costruirci un ruolo, una voce, una personalità.

Anche questo vostro nuovo Master è molto interessante, dà le possibilità e i mezzi per decidere chi sei. Non è così ovvio saperlo, al di là della figura di atleta. Cosa c’è oltre ad “Irene Curtoni la sciatrice”?

Quali sono le dinamiche che ti è risultato più difficile comprendere e fare tue nel processo di riqualificazione professionale che hai vissuto? Cosa pensi avrebbe potuto aiutarti?

A me si è aperta subito un’opportunità concreta, che avevo già un po’ in testa. Se non si fosse aperta questa però avrei cercato di farne succedere delle altre. In ogni caso, più consapevole sei di quello che sai e puoi dare più puoi concretizzare. La consapevolezza è fondamentale in qualsiasi settore, affronti le situazioni con un altro spirito.

Un atleta secondo me accetta difficilmente di presentarsi ad un appuntamento senza una preparazione, averne una di qualsiasi tipo ti dà più serenità. Nel nostro sport tu gareggi da solo ma vivi tutto l’anno in una squadra, è difficilissimo. Soprattutto in una nazione come la nostra in cui i numeri sono alti, ci sono tante persone. È complesso far passare il concetto che se la squadra funziona bene anche il singolo poi riesce a rendere meglio.
Mettersi l’uno contro l’altro però non aiuta a crescere. È vero che in quel minuto o poco più sono da solo, ma se quello che ho dietro funziona cambiano le cose. Poi bisogna avere la maturità e la coscienza di accettare i risultati e tirarne fuori qualcosa di utile.

Quale delle tre aree dell’Executive programme Athletes Post Career di Umana e Sport Business School costituisce a tuo parere un vero valore aggiunto e può fare la differenza?

Di certo tutte e tre le aree hanno un valore aggiunto e possono fare la differenza. Poi dipende anche da dove ti trovi, da quali sono le tue conoscenze pregresse, da cosa vuoi integrare e da dove vuoi andare. Un’osservazione forse banale? Per Irene Curtoni funziona così: più cose conosco, meglio è.

Penso che il Bilancio di competenze sia fondamentale, proprio per il tema della consapevolezza che abbiamo affrontato prima.

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