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Claudio Coldebella - Sports Business School

Riqualificazione post-carriera: l’esperienza di Claudio Coldebella

In campo e nel lavoro, un’esperienza di respiro internazionale.
A guidarla, un’indole propensa al cambiamento e una grande consapevolezza.
Oggi raccontiamo il percorso di Claudio Coldebella, ex cestista ora dirigente sportivo.

A tuo parere, quali sono i rischi più grossi per un ex professionista? Situazioni ricorrenti, sensazioni, paure, magari che hai anche vissuto in prima persona?

Vado dritto al punto: come sempre non arrivare pronti, non essere preparati a quello che è il passo successivo.
È una cosa che mi sono portato dietro, accadeva anche quando giocavo, temevo di arrivare al giorno della partita e di non avere quella componente di consapevolezza data da lavoro e preparazione dell’allenamento che ti poi ti permette di giocare più tranquillo.
Di fatto succede così anche nel post carriera, quando arrivi a quel bivio che cambia completamente la tua vita, sia professionalmente che nelle relazioni personali con chi sta vicino a te. Devi prepararti, arrivare a quel momento già con le idee ben chiare e con delle competenze.

Quali sono invece, a tuo parere, i plus che un ex professionista in ambito sportivo ha per forza coltivato e che possono essere recuperate in un contesto professionale post-carriera? Più nel dettaglio, un playmaker in campo può divenire anche un playmaker nel mondo business? In che termini?

Confermo, un campione in campo può esserlo anche nel business, e non vale solo per il playmaker. Lo sport di squadra praticato ad alti livelli ti dà tante skills: l’organizzazione della giornata e del lavoro, il rispetto delle regole, la serietà, la cura dei dettagli.
Sono tutti aspetti che ti puoi portare appresso anche nella tua seconda vita professionale. Per quanto riguarda lo specifico ruolo del playmaker, sicuramente serve il saper coinvolgere i tuoi compagni, che poi sono anche i tuoi colleghi o persone che lavorano con te. Concetti alla base di quel ruolo che sicuramente possono dare un vantaggio per il futuro.

Quali sono le emozioni più connotative che a tuo parere caratterizzano la carriera di uno sportivo professionista? Secondo te è possibile ritrovarle in un percorso professionale post-carriera? Come?

Sì, anche se sono ambiti completamente diversi. Il campo è un qualcosa di unico, alcune dinamiche sono irripetibili: avere il contatto con il pubblico che segue le partite, dover gestirsi un calendario fittissimo di appuntamenti che tra l’altro aumentano di anno in anno…
Non è facilissimo riproporre tutto questo in ambito lavorativo, però ci possono essere dei momenti analoghi: il picco di adrenalina, l’attenzione prima dell’ingresso, l’appuntamento o l’intervista sono occasioni che vanno affrontate in un certo modo. Penso che una delle cose che un grande sportivo si può portare dietro è anche la capacità di “passare gli esami importanti”, di avere una capacità decisionale veloce, contando sul proprio istinto.
Istinto che però va sempre guidato, che nel mondo imprenditoriale va supportato con competenze concrete.

Da giocatore hai vissuto anche un’esperienza oltreoceano: ci sono differenze nella gestione degli atleti professionisti lato previsione della fase post-carriera? Da dirigente, invece, che tipo di sensibilità hai percepito sul tema una volta approdato in Russia?

La mia prima esperienza fuori dall’Italia è stata in Grecia, parliamo di tantissimi anni fa; l’Associazione Giocatori stava nascendo, non c’era nessuna attenzione per quello che poteva essere il percorso di un giocatore. Gli spagnoli, invece, sono sempre stati molto attenti. Su questo tema vedo un grande e valevole tentativo da parte dell’Associazione giocatori NBA, dove la nuova cordata di presidente e dirigenti punta tantissimo su come coltivare e migliorare le competenze già durante la carriera dei giocatori, per poi far capire loro quanto è importante il brand personale, quanto è importante investire su sé stessi. Secondo me stanno facendo benissimo e mi auguro che anche altre leghe e altri campionati possano prendere spunto.
In Russia non è una cosa che ho riscontrato moltissimo però alla fine è anche che il singolo club, tramite dirigenti e allenatori, deve passare questo messaggio ai propri giocatori. La responsabilità di un club è anche quella di far migliorare il giocatore anche su questi aspetti, per cui personalmente ho cercato di farlo e cerco di farlo quotidianamente da dirigente. Trovo sempre entusiasmante vedere degli atleti curiosi e attenti per quello che è il futuro, spesso vengono da me in ufficio a chiedermi come ho orientato il mio percorso e questo mi fa molto piacere.

In seguito alla tua carriera sportiva, hai frequentato corsi di “Sports Managemente&Event Management” alla SDA Bocconi, “Management Events” presso StageUp Sport&Leisure Business (Bologna) e un “Management Training Program” di Adecco Group a Milano. Vista la tua personale esperienza, quali pensi che siano le lacune sul panorama del mondo della formazione dedicata agli ex atleti?

Personalmente mi sono formato perché avevo un forte desiderio di crescita, di capire, imparare e migliorare, ma anche la famosa ansia di non essere preparato che mi caratterizza: devo sempre sentire di aver fatto le cose per me necessarie, ad esempio dal mio punto di vista arrivare a un appuntamento preparati è fondamentale.
Penso che la proposta di corsi di formazione disponibili in Italia e all’estero sia migliorata tantissimo negli ultimi anni, specialmente per quanto concerne la riqualificazione professionale degli ex sportivi: finalmente è viva la percezione della necessità che hanno queste figure di essere guidate nel percorso verso il proprio futuro.

Quali sono le dinamiche che ti è risultato più difficile comprendere e fare tue nel processo di riqualificazione professionale che hai vissuto? Cosa pensi avrebbe potuto aiutarti?

A mio parere, in qualsiasi percorso di alto livello la passione e l’entusiasmo sono basilari e questi sentimenti si possono esprimere al massimo quando trovi qualcosa che veramente ti piace, ti ispira e pensi che possa rappresentare il tuo futuro. Una delle più grandi difficoltà è capire come indirizzare entusiasmo e passione quando la carriera finisce: pochi hanno le idee chiare, e diventa indispensabile un aiuto.
Puoi indirizzarti verso un futuro da imprenditore, creare una società, lavorare come dipendente in un’azienda, ma la vera svolta scatta quando, al di là delle competenze, individui la chiave di volta, quello che vuoi fare davvero della tua vita. Io inizialmente non riuscivo a collocarmi con facilità in un ambito, per fortuna poi, essendo abituato ad ascoltarmi molto, ho colto abbastanza in fretta la mia propensione ad una carriera manageriale.

La mia fortuna è che mi sono ritrovato moltissime volte a ripartire: succede quando esci dalla tua comfort zone, quando vai all’estero, cambi squadra, entri in uno spogliatoio nuovo e devi assorbirne le dinamiche. Ho cambiato Paesi, ho cambiato lingue, ho cambiato filosofia e mentalità di gioco in campo e fuori dal campo. Questo mi permette ora di avere una grande capacità di adattamento che mi aiuta in qualsiasi sfida io decida di affrontare: il mondo del lavoro è in continua mutazione e il cambiamento va abbracciato, per diventare ogni giorno più forti.

Dal 2018 sei vicepresidente di ASSI manager, associazione dei Manager dello Sport System Italiano nata nel 2016 da un gruppo di accreditati professionisti dello sport business, con l’obiettivo di promuovere la cultura e il riconoscimento della managerialità. L’Associazione è ispirata dai valori legati alla centralità della persona quali trasparenza, competenza, solidarietà, etica professionale, rispetto delle regole e lealtà. Come viene affrontato in questo contesto il tema del post-carriera?

Si tratta di un’associazione nata con l’intento di valorizzare e mettere al centro la figura del manager per la crescita dello sport business italiano, dove le competenze e la professionalità sono molto importanti.
Tra le tante attività portate avanti dall’associazione c’è anche la costruzione di rapporti con scuole di formazione, master, istituti dei quali la mission è rappresentata dal far crescere le competenze degli ex atleti. È un tema a noi molto caro ma in generale sempre più sentito, specialmente tra i giovani, e questo fa ben sperare per il futuro.

Quali sono per te i campi su cui un ex atleta può performare meglio degli altri in ambito lavorativo e perché?

Una grande percentuale di quello che faccio oggi è collegata a quanto ho imparato all’interno di quelle quattro mura che sono lo spogliatoio. Praticando uno sport di squadra sono stato immerso tra le relazioni con i compagni di squadra, con lo staff, la leadership e tutte le tipiche dinamiche di un gruppo, che mi aiutano tutt’ora.
Per contro, ho dovuto cercare di sopperire alla mancanza di quella parte didattica strutturata che non sono mai riuscito a seguire studiando e frequentando tantissimi corsi.
Sul lavoro in team, tuttavia, noi ex sportivi siamo imbattibili!

Quale delle tre aree dell’Executive programme Athletes Post Career di Umana e Sport Business School costituisce a tuo parere un vero valore aggiunto e può fare la differenza?

Credo che il valore aggiunto di “Athletes Post Career di Umana” sia la possibilità di fare un viaggio all’interno di sé stessi: puoi capire dove sei, a che punto sei, quali sono le tue competenze. Una sorta di punto di partenza, che si intitola infatti “La persona oltre l’Atleta” e che fornisce la padronanza di strumenti quali il Personal Model Canvas.
La seconda area, “Fare impresa nello sport”, è altrettanto intelligente e interessante, allinea in merito alle strade, alle opportunità che ci sono attualmente nel mondo dell’innovazione nello sport.
Sono due aspetti che, quando finisci la tua carriera o ancora meglio quando stai ancora giocando, dovrebbero esserti ben chiari, ma la formazione universitaria “classica” spesso li affronta in modo scollegato o non fornisce strumenti concreti per la messa a terra.
C’è inoltre anche il lato networking: nuove conoscenze portano a nuove idee!

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